Il Cervello da Nemesio al Seicento
MONICA LANFREDINI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 04 novembre 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]
Terza ed Ultima Parte
A cominciare dall’incisione
del frontespizio del trattato di anatomia di Andrea Vesalio,
ciascuna delle immagini è una piccola opera d’arte che, proseguendo la
tradizione inaugurata da Leonardo da Vinci, contribuirà a creare quello stretto
connubio tra arte e scienza[1] che
giungerà fino all’invenzione della fotografia.
Costanzo Varolio,
medico personale di Papa Gregorio XIII e allievo di Giulio Cesare Aranzi, a sua volta studente di Vesalio,
pubblicò nel 1573 un nuovo metodo di dissezione del cervello, che prevedeva la
separazione dell’encefalo dal cranio e consisteva in una procedura ordinata
dalla base verso l’alto. Seguendo questo criterio, la sezione gli consentì di
riconoscere le crura cerebri e descrivere la formazione del
tronco encefalico che, come un grande fascio trasversale, collega il
cervelletto al resto dell’encefalo: il Ponte di Varolio[2]. La
sua fama presso i contemporanei è principalmente dovuta alla perfetta
descrizione dei nervi cranici. Nel 1573 con un lunghissimo titolo che comincia
con “De Nervis Opticis” fu
pubblicata una sua lettera a Geronimo Mercuriale del primo di aprile dell’anno precedente,
la risposta di questi e la replica di Varolio: nel
suo insieme un piccolo saggio di neurologia.
Il Seicento si caratterizza
come un secolo durante il quale il cervello assume una posizione di centralità
nella riflessione scientifica sull’uomo tanto quanto nelle speculazioni sulla
sede dell’anima, perché la maggior parte degli scienziati e degli studiosi
abbandona definitivamente la teoria cardiocentrica di Aristotele[3] e
riconosce all’organo che ha sede nella scatola cranica il ruolo di parte del
corpo che esprime tutte le facoltà psichiche.
Il progresso delle conoscenze
mediche fa registrare in questo periodo un’accelerazione senza precedenti, e a
William Harvey[4], medico straordinario di
Carlo I, alcuni riconoscono un ruolo per la fisiologia equivalente a quello che
Galileo ebbe per la fisica. Harvey era interessato allo studio del cervello e
aveva fama di essere uno dei pochi medici di Londra capaci di curare i “demoni
della testa”, ossia le malattie psichiche[5].
Aveva compreso lo stretto legame fra encefalo e sistema vascolare, supponeva
l’importanza di un rapporto con il cuore, ma inizialmente era sviato da alcune
nozioni erronee che costituivano capisaldi del sapere dell’epoca: l’esistenza
di un flusso ematico arterioso era nota dal tempo dei Greci, ma il sangue venoso
si riteneva giungesse alle vene dal cuore e rimanesse pressoché fermo. Harvey
aveva studiato a Padova, dove aveva assistito nel grande teatro anatomico alle
dissezioni didattiche di Andrea Vesalio, ed aveva
avuto tra i suoi professori Girolamo Fabrici
d’Acquapendente (Hieronymus Fabricius),
che studiava le valvole venose dopo aver scoperto il riflesso pupillare alla
luce e la funzione della placenta.
Quando Harvey si dedicò allo
studio del sangue, prese le mosse proprio da un errore di Girolamo Fabrici: questi credeva infatti che le valvole venose
avessero il compito di rallentare il sangue proveniente dal cuore, ma Harvey
notò che le sacche valvolari erano rivolte verso il cuore.
Numerosi esperimenti su
animali, il calcolo del flusso ematico cardiaco e le osservazioni sulle vene
superficiali del braccio a seguito di legature occlusive dei vasi, misero il
medico del Royal College sulla giusta via. La sua
straordinaria scoperta della circolazione
del sangue gli fu suggerita, secondo quanto egli stesso affermò, dal
pensiero di Aristotele: pensando al cerchio come la forma perfetta della
geometria, secondo l’insegnamento del filosofo greco, comprese che il flusso
ematico si muoveva secondo un “circolo” che parte dal cuore mediante le arterie
e qui ritorna grazie alle vene.
Può apparire una
contraddizione il riferimento ad Aristotele da parte di un medico proveniente
da una delle migliori scuole mediche del tempo, che si rifaceva alla visione
cerebro-centrica di Galeno. Ma si tratta di una contraddizione solo apparente, originata
da una conoscenza superficiale, basata sulle semplificazioni schematiche dei
resoconti di storia della medicina. Basta un piccolo approfondimento su Harvey,
che il riferimento ad Aristotele non meraviglia più.
Si pensi che a Padova sei dei
suoi diciotto professori tenevano lezioni solo su Aristotele e che, sebbene le
nozioni di anatomia che lì si insegnavano sulla base dell’osservazione diretta
trovassero generalmente riscontro nella visione di Galeno e non in quella di
Aristotele, la scuola non aveva affatto una filosofia manichea alla base della
sua cultura, ma piuttosto una profonda fiducia nella diretta osservazione
scientifica. In altri termini, riguardo alle autorità filosofiche del passato
non vi era un’esclusione pregiudiziale o una passiva accettazione, ma piuttosto
una tendenza a conservare come guida il pensiero della tradizione aurea, fino a
prova del contrario. Ad esempio, Harvey seguiva Aristotele quando doveva
spiegare la bassa temperatura del cervello, sostenendo che è tale “al fine di
temperare lo spirito che proviene dal cuore”, altrimenti questo si surriscalda
ed evapora come succede negli “uomini folli i cui cervelli sono riscaldati”[6].
Pronto, però, ad accantonare questa spiegazione quando, dopo aver studiato a
lungo il sangue, dichiara che tutto ciò che era stato attribuito a virtù di
“spiriti” doveva intendersi come proprietà del sangue, precisando che gli
spiriti non sono altro che “un comune sotterfugio per l’ignoranza”[7]. A
proposito dei ventricoli cerebrali, da molti ritenuti per eredità dal secolo
precedente sede della genesi degli spiriti[8], afferma:
“Io sostengo che i ventricoli del cervello non sono adatti a tale eccellente
funzione, per cui credo piuttosto che essi siano fatti per la recezione degli
escrementi”[9].
William Harvey pubblica nel
1628 De motu cordis, un saggio che poi sarebbe diventato una pietra
miliare nella storia della medicina e più in generale della scienze biologiche,
rivoluzionando le basi della fisiologia dei mammiferi. Nonostante Harvey avesse
presentato il suo saggio in anticipo al College
of Physicians, con un’abile captatio benevolentiae che ci è giunta, fu
duramente osteggiato; le sue scoperte non furono comprese e generalmente
rifiutate dai medici inglesi solo perché in contrasto con nozioni tradizionali[10]. Cartesio,
invece, mostrò il suo apprezzamento per la scoperta della circolazione del
sangue nel Discorso sul Metodo del
1637.
Come sappiamo dal filosofo
Thomas Hobbes, autore del Leviatano,
Harvey ebbe infine il riconoscimento del valore delle sue ricerche: “È l’unico
uomo, forse, che mai abbia vissuto per vedere la propria dottrina affermata
durante la propria vita”[11].
Cartesio, dopo la
pubblicazione del Discorso sul Metodo,
opera di fondamentale importanza per l’affermazione del razionalismo in Europa
e la definizione delle basi concettuali della pratica sperimentale, nella quale
il matematico e filosofo francese si riprometteva di dedicarsi allo studio del
corpo per fini medici, cominciò le sue riflessioni sul cervello parallelamente
all’osservazione necroscopica. Suppose che il flusso di sangue inviato dal
cuore al cervello determinasse la produzione di quell’energia vitale che si era
soliti nel suo tempo definire “spirito animale”; ma, a differenza dei
neoaristotelici, aveva ben presente la distinzione fra l’anima immortale, da
lui intesa nel più puro senso cristiano, e gli animal spirits dei filosofi empiristi inglesi.
Ipotizza che questa energia o spirito permei i ventricoli e da questi passi ai
nervi motori responsabili, come è in realtà, dell’azione muscolare[12]. Questo
suo modo razionale di intendere la nozione degli “spiriti”, quale convenzione del
suo tempo per indicare un aspetto non compreso della fisiologia degli organismi
animali, lo pone a debita distanza dalla tesi dell’anima tripartita platonica.
In altri termini, Cartesio non rifiuta la dottrina di Platone perché dualista,
come affermato da alcuni[13], ma
perché non confonde la nozione operativa degli spiriti con la concezione
dell’anima.
Nell’osservazione del cervello
finalizzata allo scopo di riconoscervi la sede dell’anima Cartesio pecca di un
localizzazionismo ingenuo, che può essergli perdonato se pensiamo che, oltre
due secoli dopo, lo ritroviamo nella fantasiosa collocazione di facoltà
psichiche in particolari aree del cervello da parte dell’organologia e della
frenologia. Attribuendo alle regioni macroscopiche dell’encefalo funzioni in
analogia con la conformazione anatomica, quando evidenzia nel trigono delle
abenule l’epifisi, quale formazione impari e mediana circondata da strutture
pari e simmetriche, vi colloca la psiche con questo semplice ragionamento: “…
le altre parti del nostro cervello sono doppie e noi abbiamo un solo pensiero
di una stessa cosa nello stesso tempo”. Si deve anche osservare che, all’occhio,
l’epifisi è assolutamente indistinguibile dal tessuto nervoso delle abenule, ed
è opportuno ricordare che a quel tempo non era noto che contenesse il corpo
pineale, ossia una ghiandola endocrina la cui funzione è rimasta controversa
fino agli ultimi decenni del Novecento. È nota la critica di Spinoza
all’ipotesi della sede della psiche nell’epifisi. D’altra parte, Cartesio non
era medico e la sua competenza nell’osservazione anatomica era messa in dubbio
dai contemporanei che pure lo stimavano come eccellente matematico: si vuole
che Thomas Harvey non abbia tratto conforto dal suo sostegno alla teoria della
circolazione del sangue espressa nel Discorso
sul Metodo[14].
Ma il principale contributo di
Cartesio deve ritenersi l’approccio meccanicistico allo studio della fisiologia
elementare del nostro corpo e degli organismi animali in genere, “come macchina
costruita e composta d’ossa, di nervi, di muscoli, di vene, di sangue, di
pelle”[15].
L’applicazione di questa concezione allo studio dell’innesco dei movimenti in
risposta a segnali visivi ed uditivi lo porta a concepire uno schema molto
vicino a quello dell’arco riflesso della neurologia contemporanea.
Thomas Willis[16],
probabilmente il maggiore fra gli studiosi di anatomia descrittiva del XVII secolo,
non solo fa realizzare a Christopher Wren - celebre
disegnatore ed architetto della Cattedrale di San Paolo a Londra - disegni
originali dei cervelli da lui studiati, ma raccoglie anche tutte le migliori
riproduzioni grafiche dell’encefalo reperibili. I suoi studi hanno il merito di
confutare definitivamente la dottrina ventricolarista,
attribuendo il primato nei ruoli fisiologici alla corteccia cerebrale. Il suo
primo libro sulla morfologia cerebrale, Cerebri
Anatome, fu pubblicato a Londra nel 1664[17].
Studiando la superficie
corticale, comprende che il pallio cerebrale, introflesso a formare le
circonvoluzioni, copre importanti centri subcorticali pari e simmetrici, quali
le formazioni del corpo striato e i due talami; descrive il corpo calloso come
struttura che collega sulla linea mediana i due emisferi, e riconosce varie
altre formazioni. Distingue un materia
grigia o cinerea, alla quale attribuisce la proprietà di generare quei
fenomeni vitali detti “spiriti animali”, e una sostanza bianca midollare, che avrebbe distribuito tali spiriti al
resto dell’organismo, comunicando sensibilità e movimento. In altre parole,
aveva compreso che un’energia, che oggi identifichiamo con l’impulso nervoso, si
origina negli aggregati di pirenofori e parti prossimali dei neuroni
costituenti la materia grigia, e che tale energia si diffonde attraverso gli
assoni mielinizzati che costituiscono la sostanza
bianca. Sembra quasi arrivare alle soglie del potenziale d’azione quando parla
dell’esplosività degli spiriti animali[18].
In Cerebri Anatome è descritto in dettaglio
il celeberrimo “Poligono di Willis”, ossia un circolo anastomotico arterioso di forma grossolanamente eptagonale posto
alla base del cervello e costituito principalmente dalle arterie cerebrali
anteriori, che dipendono dal sistema della carotide, e dalle arterie cerebrali
posteriori che dipendono dalla succlavia. L’importanza di questo circolo
consiste nel suo valore di dispositivo vascolare privilegiato per la fornitura
di sangue al cervello, che consente di evitare i rischi derivanti da una
vascolarizzazione dipendente da un solo vaso dell’arco aortico e realizza un
bilanciamento pressorio e di flusso fra i due sistemi anastomizzati. Tale
circolo non fu però scoperto da Willis come si crede, perché era stato descritto
in precedenza da Giulio Cesare Casseri a
Padova[19].
Anche Willis, come Cartesio, è
affascinato dalla possibilità di scoprire un punto di unione dell’anima
immateriale della persona con il proprio corpo. Nonostante una competenza anatomica
di gran lunga superiore a quella del filosofo e un vasto bagaglio di conoscenze
mediche, Willis non allestisce particolari esperimenti per verificare delle
ipotesi, ma si accontenta di seguire una suggestione personale, identificando
il corpo striato quale probabile sito
di tale rapporto.
Lo scopo principale delle
osservazioni di Willis era la ricerca delle cause dei disturbi mentali. In Pathologiae Cerebri et Nervosi Generi Specimen del
1667 sostiene che malattie quali l’epilessia, l’ipocondria e l’isteria siano il
risultato di convulsioni causate dall’esplosione di particelle all’interno
delle parti muscolari del corpo; l’esplosione di tali particelle sarebbe stata
causata da una grande varietà di particelle alcooliche altamente volatili.
Il terzo ed ultimo lavoro di
argomento neurologico, De Anima Brutorum (1672), affronta il problema dell’anima degli animali, che ritiene essere
la parte del corpo in comune tra l’uomo e le bestie, responsabile delle
passioni che spingono a ricercare alimenti, riparo e accoppiamento: grosso modo
quello che sarà l’istinto due secoli
dopo. In quest’opera ipotizza che i disturbi dell’anima sono all’origine di
malattie capaci di modificare radicalmente i pensieri e i comportamenti umani.
Si chiude qui questa
esposizione basata su tracce storiche della concezione del cervello da Nemesio
al Seicento; anche se ciascuno degli argomenti e degli autori considerati
avrebbe meritato una più approfondita e dettagliata trattazione, si è ritenuto
fare cosa gradita al lettore nell’offrire un materiale conciso e limitato agli
aspetti di maggiore interesse per la storia della scienza.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle prime due parti pubblicate
il 21 e il 28 dello scorso ottobre.
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Si celebra il contributo che, nel secolo successivo, Rembrandt diede allo sviluppo dell’arte dell’incisione, ma probabilmente quei livelli non sarebbero mai stati raggiunti senza la lezione degli illustratori di anatomia.
[2] Cfr. G. Martinotti, Costanzo Varolio e il suo metodo di sezionare l’encefalo. Galeati, 1926. Di passaggio si ricorda che scoprì anche la valvola ileocecale e descrisse il meccanismo dell’erezione attribuendolo all’azione dei muscoli bulbospongiosi ed ischiocavernosi già descritti da Galeno.
[3] Nonostante secoli di medicina galenica, la suggestione di Aristotele sopravvive, e si rinviene ancora nei secoli successivi in alcune teorie delle emozioni. Si ricorda che Aristotele portava quale prova della localizzazione della psiche nel cuore l’assenza di sensibilità alla stimolazione meccanica del cervello a nudo, contrapposta alla presenza di reazione del cuore agli stessi stimoli. Nel 1588 l’anatomista Andrea Cesalpino ancora afferma che il cuore è l’origine dei nervi, oltre che di tutte le vene.
[4] William Harvey (1578-1657) laureatosi in medicina a Padova nel 1602, rientrò poi in Inghilterra, dove esercitò la professione a Londra come membro del Royal College e insegnò anatomia a Oxford.
[5] Hunter
& Macalpine, p. 137, 1957 (cit. in Carl Zimmer,
v. dopo). Qualche autore contemporaneo lo considera un
proto-psicologo (Cfr. Carl
Zimmer, Soul Made Flesh – The Discovery
of the Brain and How It Changed the World, p. 68, Free Press, New York 2004).
[6] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 68 (TdR).
[7] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 69 (TdR).
[8] I seguaci di Galeno ritenevano che gli spiriti del fegato, del cuore e del cervello erano necessari alla sopravvivenza, a loro si erano uniti nel Cinquecento medici di ispirazione platonica che consideravano gli spiriti del corpo derivati dagli spiriti del mondo.
[9] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 69 (TdR).
[10] James Primerose, ad esempio, nel 1630 liquidò la scoperta della funzione cardiaca e della circolazione del sangue con qualche citazione da Galeno e altre autorità, senza alcun argomento scientifico. L’amico John Aubrey racconta degli attacchi biechi e volgari anche per semplice invidia da parte dei medici inglesi, che agirono in modo tale da compromettere la sua reputazione. Si ricorda che fra le nozioni tradizionali ad Oxford si insegnava ancora che durante il plenilunio il cervello aumenta di dimensioni e che l’isteria, come ipotizzato da Aristotele, era dovuta alla migrazione dell’utero.
[11] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 119 (TdR). Ricordiamo che, prima della consacrazione a 79 anni (1657) alla fine della sua vita, Harvey ipotizzò l’esistenza delle ovocellule in Disputations Touching the Generation of Animals (1651); il suo celebre motto, ex ovo, omnia, esprime il concetto secondo cui un uomo e un cervo originano da un uovo come una gallina o una rana.
[12] L’idea di un pneuma presente nei nervi si conserva e si rafforza nei due secoli successivi; in particolare, nell’Ottocento le preparazioni dei tessuti non conservavano le delicate strutture mieliniche e assoniche, facendo apparire i nervi vuoti. Tale ipotesi sarà prevalente fino a quando Galvani dimostrerà i fenomeni elettrici biologici, dapprima nella rana e poi nei nervi dei mammiferi.
[13] Changeux afferma: “Dualista, egli rifiuta la tesi tripartita di Platone…” (Cfr. Jean-Pierre Changeux, L’uomo neuronale, p. 20, Feltrinelli, Milano 1998).
[14] Cfr. Carl
Zimmer, Soul Made Flesh – The Discovery
of the Brain and How It Changed the World, p. 73, Free Press, New York
2004.
[15] Cit. in Jean-Pierre Changeux, L’uomo neuronale, p. 21, Feltrinelli, Milano 1998.
[16] Thomas Willis (1621-1675) scrisse Diatribae duae medico-philosophicae (1659) che rappresentò il primo modello di trattato della medicina moderna, con una parte introduttiva costituita dalla prima teoria chimica della medicina (De fermentatione). Fu il docente più pagato dell’Università di Oxford.
[17] Conservato fra i “Rare Books” presso la Wellcome Library di Londra.
[18] Cfr. Jean-Pierre Changeux, L’uomo neuronale, p. 22, Feltrinelli, Milano 1998.
[19] Il Casseri era stato allievo di Geronimo Fabrici d’Acquapendente, che in seguito divenne suo rivale.